storie incredibili

Buon Giorno...Noi Italia
Scesi dall'Elbrus, tornati in quel posto surreale che è l'alta valle di Baksan tra Terskol ed Azau, io e Gianni ci siamo imbattuti nei personaggi più strani, incrociando le nostre storie con storie ben più assurde delle nostre.
Sin dall'inizio siamo rimasti colpiti dal clima di normalità con il quale in quei luoghi tormentati dalla guerra e dal terrorismo la gente vive con ottimismo e senso di "normalità" la propria vita.



Appena arrivati abbiamo notato subito le postazioni d'artiglieria ben ingrassate e pronte all'uso, puntate verso il nemico.



















Da giorni osservavamo le evoluzioni del potente elicottero russo adibito a mezzo di soccorso per alpinisti (stando a quanto tutti ci riferivano)....strano che passava la maggior parte del proprio tempo svolazzando sul confine georgiano.....
Decidiamo quindi di farci coraggio ed andare a salutare i nostri "colleghi" russi presso il loro campo d'atterraggio.
Arriviamo lì e troviamo l'equipaggio smontante tutto intorno ad un'accogliente quanto spartana tavolata.
Ci avviciniamo con circospezione (io già pensavo che ci avrebbero mandati in Siberia) e all'improvviso Gianni fà:  "buongiorno...noi Italia..." (volevo sprofondare) quelli si girano e fanno.... "AAHH Mafia!"  risatine da entrambe le parti poi aggiungiamo cordialmente: noooo Noi Italian Mountain Rescue.." a quel punto eravamo già grandi amici! Ci invitano a visitare il campo e, naturalmente, ci fanno posto a tavola.
Piatto del giorno: arrosto di montone. Bevanda: brodo bollente di montone in un bicchiere e Vodka fredda in un'altro (i bicchieri erano grossi e pieni...entrambi). E così un sorso al brodo ed uno alla vodka siamo diventati amici.
Loro parlavano in un inglese stentato + russo, noi in un inglese stentato + italiano: ci siamo capiti benissimo!
Scambiati gli ultimi saluti e fatte le foto ricordo ci siamo finalmente accomiatati da loro. L'elicottero dopo un pò ha ripreso il volo (spero con un'altro equipaggio considerando la vodka) noi ci siamo trascinati per strada barcollando fino al posto dove dormivamo. 





























IVAN.
Si chiamava Ivan...probabilmente.
Dico così perchè lui non ci ha mai rivelato il suo nome nè noi abbiamo mai pensato di chiederlo.
La cosa era poco importante, di secondo piano e, sicuramente, la domanda sarebbe stata poco opportuna.
Eravamo seduti su un vecchio divano scassato, inclinato per il fatto che poggiava sui sassi, buttato lì al bordo del piazzale di manovra dei camion in quel posto in mezzo al Caucaso e alla fine della Russia.
Era sera, ormai buio. Eravamo seduti lì per fare due chiacchiere dopo cena...così, del più e del meno.
Improvvisamente zitto zitto sbuca un tizio con l'aria furtiva. La faccia magra, scavata, gli occhi sporgenti e svegli che andavano di quà e di la preoccupati che qualcuno non badasse troppo al tizio al quale erano attaccati.
Non una parola di inglese (e meno che mai di italiano ovviamente). Tirando fuori una vecchia mappa (turistica) della zona, tutta ciancicata e tenuta in sieme col nastro adesivo, ci indica sulla carta un punto e, successivamente, con lo stesso dito lungo ed ossuto, le montagne al di la del bosco di abeti.
Portava con se un vecchio zaino e allo zaino era fissato alla buona un arnese che, credo, doveva essere la sua piccozza: un manico di piccone in cima al quale, era stata fissata una specie di "malepeggio" o di martello. Di alpinisti strani ne avevamo già incontrati a dire la verità. Scendendo dall'Elbrus ad esempio ricordo di essermi trovato faccia a faccia con un tizio UGUALE ad Herman Bull: stessa faccia da disperato, pantaloni di velluto, maglione di lana, picca e ramponi ORIGINALI anni '30.
Quì in Russia l'alpinismo è un pò come il calcio da noi e loro ne fanno una questione di orgoglio, in questo modo salgono mettendo su quello che hanno senza stare troppo a badare al marchio o all'ultimo grido in fatto di materiali.
Per questo quando il tizio nella "piazza" di Azau mi indicò la carta, pensai che chiedesse informazioni per salire l'Elbrus e mi meravigliai ben poco del suo aspetto.
Dopo qualche tentativo di spiegargli che l'Elbrus si trovava in una diversa posizione rispetto al punto in cui aveva posato il dito sulla mappa, finalmente capimmo.
Lui non era un alpinista e tantomeno voleva salire in cima a quella stupida montagna.
Ivan era un profugo. Stava scappando!
Puntava il dito e gli occhi verso il confine con la Georgia.
Il sentiero che si accingeva ad imboccare, ormai di notte, lo avrebbe portato attraverso i boschi ed i ghiacciai fin su, su un passo di montagna oltre i 3000 m di quota da dove, forse, si sarebbe sentito un pò più libero.
Non so cosa sia successo poi ad Ivan. Lo guardammo allontanarsi zitto zitto nel buio. Con quel suo zaino in spalla. Quella strana piccozza legata allo zaino. Dentro allo zaino tutta la sua vita.
Ben presto il bosco lo nascose definitivamente alla nostra vista.